La macchina dei consumi

Il suv? «Un fortilizio semovente». Il segreto del telefonino? È tutto «nel differire il più possibile l'incontro con la realtà». L'iPod? «Un compagno-feticcio». Gli oggetti che affollano la nostra quotidianità, secondo il filosofo e artista visivo Emiliano Bazzanella (Oltre la decrescita. Il tapis roulant e la società dei consumi, abiblio, pag.120, euro 10), hanno inchiodato l'uomo a una condizione straniante: l'individuo è «ridotto a una pura macchina consumatrice e ritualizzante». Eppure questi oggetti non sono il trionfo del non-senso, anzi obbediscono a una sofisticata strategia.

Ne "Il sistema degli oggetti" Baudrillard scrive: «Gli oggetti sono diventati più complessi dei comportamenti degli uomini relativi a tali oggetti». Lei scopre in molti comportamenti legati al consumo qualcosa di insospettabile: la pigrizia. In che modo si accorda con la frenesia dell'acquisto?
«L'oggetto è divenuto complesso poiché in esso si condensano vari movimenti, spesso contraddittori. Mi vengono in mente varie forme attraverso le quali i filosofi hanno cercato di rendere conto di questa complessità: "la Cosa" (das Ding) di Heidegger, l'"oggetto a" di Lacan, ma soprattutto l'"organo ostacolo" di Bergson. L'oggetto è un medium tra noi e la realtà, è lo strumento attraverso il quale entriamo in contatto con essa; ma è anche un ostacolo, qualcosa che impedisce un rapporto vero e proprio. Questo non voler affrontare direttamente la realtà credo sia ciò che caratterizza l'uomo in quanto tale. Essere pigro significa delegare a qualcos'altro moltissime delle nostre azioni quotidiane: significa premere un pulsante del telecomando anziché alzarsi e accendere la Tv, significa telefonare o mandare Sms anziché scrivere una lettera o andare personalmente dal proprio amico. Che poi la pigrizia sia divenuta essa stessa "merce" e ci conduca a un eccesso di consumi e a un'iperattività spesso inane, costituisce la follia del nostro tempo».
Un'iperattività a cui ci costringono gli oggetti stessi?
«Il caso dell'automobile è paradigmatico: inventata per lenire le fatiche degli uomini nei loro necessari spostamenti, si è trasformata in uno strumento fine a se stesso, che ci costringe ad andare in macchina inutilmente, per ore e ore, chilometri dopo chilometri sprecando tempo ed ettolitri di carburante».
Il suv, il telefonino sono delle protesi che ci difendono dalla realtà. Al tempo stesso, come negli sport estremi, desideriamo un eccesso di realtà. Un paradosso?
«Il filosofo sloveno Slavoj Zizek definisce questa condizione come "passione per il reale". Pensiamo all'arte contemporanea: essa sembra mettere in gioco continuamente una realtà severa, traumatica, spesso brutta. Svela quella cortina immaginaria con cui abbelliamo le cose, per farci vedere un mondo sottostante orribile e inquietante: le mucche squartate di Damien Hirst, gli animali tassodermizzati di Cattelan, le ossa nelle performance di Marina Abramovic o il sangue in quelle di Hermann Nitsch. La realtà diviene all'improvviso mostruosa. Il consumo costituisce un avvicinamento alla realtà e alla materia, ci rende vivi e ci rassicura. Se la televisione, i reality ci pongono nell'assurda posizione di vivere la vita attraverso la mediazione degli altri, nell'atto del consumare torniamo "individui", anche se del tutto isolati».
Che rapporto c'è tra il consumo bulimico e il bisogno di sicurezza?
«Il consumo in sé è rassicurante. Ma talvolta la stessa sicurezza diviene qualcosa che si compra e si vende, basti pensare al campo delle assicurazioni. Siamo di fronte ad un circolo vizioso: non si consumano soltanto cose, prodotti, ma anche sensazioni, idee, fedi e teorie. Il continuo intercalarsi delle mode e dei saperi, lo stesso relativismo dell'era postmoderna, non sono che l'effetto del consumismo, il quale non è solo stile di vita o modus economico, ma ahimè l'orizzonte di senso della contemporaneità».
I social network esprimono un bisogno di comunità o è solo parodia della comunità?
«Il consumo tende a isolare gli individui e, quindi, li rende più vulnerabili. Questa solitudine deve così essere compensata da nuove forme di communitas, come i social network appunto, o l'uso smodato del telefonino. La cosa curiosa è che mentre si vogliono trarre tutti i vantaggi dalla comunità, se ne rifiutano gli elementi che potrebbero far vacillare la nostra sicurezza. Nelle pseudo-comunità virtuali, da un lato si ricerca il gruppo e l'aggregazione, dall'altro si rifiuta la vicinanza dell'Altro. Posso chattare nell'isolamento di casa mia e sentirmi membro di una comunità, e nello stesso tempo mi sento protetto dalle mura domestiche».
Dinanzi all'iper commercializzazione lei parla di «ozio,passività, lentezza». Qual è la strategia per scavare spazi che sfuggano al consumo?
«Serve una nuova estetica dei comportamenti, in cui l'eccesso e la bulimia dei consumi abbiano una connotazione negativa: consumare più lentamente, per consumare meno e meglio. È forse questa la via per una decrescita, certamente "debole", ma quantomeno realizzabile».         
                                                                      

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