Il segreto del figlio - Massimo Recalcati

Il suo nome continua a inquietare. A trattenere, irrisolto, l’enigma. Chi è Edipo? Cosa la sua zoppia testimonia? Che è l’uomo dai “piedi gonfi”, vero intarsio di indizio e segreto, noto e ignoto, visione e cecità, verità ed equivoco? Su quale terreno Edipo continua a giocare la sua partita? Su quello psicoanalitico, nel quale è imprigionato da quando Freud lo ha assunto come figura del complesso che cattura la sessualità umana? Su quello dell’aleturgia, come vuole invece la lettura di Michel Foucault, per il quale il combattimento inscritto nella carne di Edipo non è quello della violazione del codice umano (parricidio e incesto) ma quello tra regimi di verità, l’affrontamento tra parola oracolare e sentenza giudiziaria? O ancora, il personaggio di Sofocle tradisce, proprio nella sua andatura zoppicante, una derivazione dal mondo ctonio, passo che accomuna – nella lettura di Carlo Ginsburg - Edipo a Giacobbe?

Massimo Recalcati assume Edipo – e con lui il “figlio ritrovato” della parabola lucana – come testimone di una verità prima e inaggirabile. Tutti siamo figli, tutti siamo consegnati al mondo da una provenienza, tutti siamo costituiti da una origine inappropriabile. Da una nascita. Prima che mortale l’uomo è natale (Zucal), la natalità è “il miracolo che preserva il mondo” (Arendt).
 
Una lunga processione di figli, d’altronde, affolla da sempre le pagine dello psicanalista: Telemaco, Isacco, Edipo, il figlio ritrovato. Una sorta di “strabismo” le anima: l’assunzione del tema della paternità – proprio mentre esso subisce una destrutturazione  simbolica -  come centrale nella nostra contemporaneità ma filtrata attraverso figure “esemplari” della cultura occidentale, assunte per la loro capacità - rimasta immutata - di significarlo. 
 
Edipo e il figlio ritrovato, nell’interpretazione di Recalcati, riflettono (e restituiscono) due paternità “alternative”. La prima è quella che si chiude all’irruzione del nuovo -  e alla minaccia che esso rappresenta -, che risolve la filiazione nella marca, nel segno autoritario, nella cancellazione della novità, fino (nel mito) ad attentare alla vita del figlio. La seconda è quella che, invece, riconosce e custodisce l’alterità del figlio, la sua irriducibilità al noto, il suo segreto, fino – nella parabola evangelica - al per-dono.

E il segreto del padre? Cosa cattura, in cosa consiste il segreto della paternità, cosa individua la sua grammatica? L’esperienza della paternità, per Recalcati, custodisce un nucleo incandescente: essa non è conferma ma espropriazione, non è nutrita da una logica proprietaria ma è sbalzata dal dono (e dal per-dono, come nella parabola lucana). Non possesso dunque ma frattura.  Al fondo della paternità si stringe il nodo dell’eredità. Nella consegna da un padre a un figlio, nella trasmissione, nell’eredità, c’è già l'annuncio di un'uscita di scena, il senso del tramonto.


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