Emanuele Coccia - La vita delle piante

Giona e Pinocchio condividono lo stesso destino: finire – anche se solo  momentaneamente – nel ventre della balena. Strana prigionia la loro: il contenitore (la balena) è a sua volta contenuta (dalle acque). L’insistenza del motivo acquatico svela una condizione ancora più radicale, e solo apparentemente paradossale: siamo tutti – proprio cosi - pesci. Nella nostra memoria è iscritta una condizione che accomuna, cioè, tutti gli esseri viventi. Per il filosofo Emanuele Coccia “il pesce non è soltanto una delle tappe evolutive, ma va considerato come il paradigma di ogni essere vivente”. “L’essere-nel-mondo di ogni vivente – scrive - dovrebbe essere compreso a partire dall’esperienza del mondo del pesce. Questo essere-nel-mondo, che è dunque anche il nostro, è sempre un essere-nel-mare-del-mondo. E’ una forma di immersione”.

Lo diciamo subito: La vita delle piante è un libro splendido. E “sornione”. Splendido perché capace di uno sguardo nuovo, stuporoso, mosso da continue accensioni liriche, nutrito – come l’autore stesso sottolinea in una sorta di piccolo “manifesto” finale – della forza di eros: un pensiero cioè mai asettico, mai disincarnato, mai piano ma passionale (“la filosofia è la conoscenza nel regno di Eros, il più indisciplinato e rozzo di tutti gli déi”). “Sornione” perché celato, nella leggerezza e nell’eleganza della scrittura di Coccia, c’è un attacco al e una rifondazione del pensiero metafisico. 

Partiamo dal fondo. L’attacco. È nota la ripartizione che Heidegger istituì tra i regni umano, animale e minerale. Mentre la pietra è senza mondo e l’animale è povero di mondo, l’uomo – secondo il filosofo di Essere e tempo - è costruttore di mondo. Cosa intende Heidegger per mondo? Evidentemente non l’ambiente, il posto dove ogni cosa che è sta, quel fascio di “stimoli” al quale l’animale reagisce adattandosi e nutrendosene. L’uomo, invece, ex-siste, cioè fuoriesce dal già dato. Essendo sfornito di quel corredo di istinti che gli permetta di adattarsi perfettamente all’ambiente, lo crea.

Heidegger, però, a ben vedere, non fuoriesce dal perimetro del pensiero metafisico perché presuppone un soggetto e un oggetto: uno è esterno all’altro, uno crea l’altro. Ebbene – nella lettura di Coccia - il mondo delle piante sovverte questa visione. Non esiste un soggetto precedente il mondo, costruttore di mondo. Non esiste un’identità chiusa. Esiste solo la mescolanza. “Il mondo non è un luogo ma è lo stato di immersione di ogni cosa in ogni altra cosa”.

Vettore di questa mescolanza è il respiro. “Vivere è respirare” e respirare è immergersi. “L’immersione è, prima di tutto, un’azione di compenetrazione reciproca tra soggetto e ambiente, tra corpo e spazio, tra vita e milieu… Perché vi sia immersione, soggetto e ambiente devono penetrarsi attivamente l’un l’altro”. Non c’è un’identità chiusa, perimetrata, ma sempre un’entità che respira, immergendosi, aprendosi, contaminandosi, facendosi mondo.

Mondo, appunto. Non è l’uomo ad essere costruttore di mondo. Sono,  per Coccia, le piante a consentire il mondo. Se ogni essere vive respirando, può farlo solo grazie al lavorio ininterrotto delle piante. “La vita delle piante è una cosmogonia in atto, la genesi costante del nostro cosmo”.

 

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