Il vangelo secondo Jack Kerouac
…Jack, ti ho cercato, ti ho amato, ti odiato. Mi son tuffato nelle tue pagine, sono fuggito. Mi attirava la tua brama, il tuo strazio, la tua poesia e le tue pagine, alcune delle quali sono brutte, alcune modeste. Alcune vertiginose, quando le tocchi con le dita puoi bruciarti. Ci ho messo un po’ a concluderti, sapendo che nessuna conclusione è possibile con te. Che ogni opera, se è davvero tale, non ha mai fine. E nessuno può finirla. Possiamo ascoltarla. Scavarla. A un certo punto ci si deve fermare. Altri continueranno. La tua opera rinascerà con loro.
Inseguendoti, ho scoperto che è impossibile catturarti. Che sei sfuggente ed elusivo. Che la tua opera è labirintica e ripetitiva, che se cerchi il filo che ti restituisca l’insieme, inevitabilmente finisci per perderti. O peggio, quel filo ti si attorciglia addosso. Sei stato tutto e il contrario di tutto. Un po’ come Jokerman cantato da Bob Dylan, un po’ falsario, un po’ folle, un po’ innocente, un po’ incomprensibile. Eri un beat(o), aspiravi alla beatitudine eppure non hai smesso di tormentarti. Cantavi la vita ed eri ossessionato dalla morte. Cantavi la verità e non finivi mai di perderla. Cercavi Dio e ti scoprivi posseduto dal diavolo. Hai consacrato la tua vita alla scrittura ma sei finito attaccato a una bottiglia, finendo per odiare la parola stessa: «L’orrenda certezza di avere per tutta la vita ingannato me stesso, pensando sempre che ci fosse qualcos’altro da fare perché lo spettacolo continuasse mentre in realtà sono semplicemente un pagliaccio, depresso esattamente come chiunque altro. Odio Scrivere». Eri doppio, come gemellare era il tuo rapporto con Dean, che per te è stato a volte un fratello, a volte un padre, a volte una maledizione, a volte una benedizione. Lo sapevi, lo ammettevi. «Ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella cadente all’altra fino allo sfinimento. Non avevo niente da offrire tranne la mia confusione». Come tanti, ti sei sentito, sei stato orfano. Tuo padre, anche lui afferrato presto dalla morte. Ce lo restituisci così, consumato, straziato dalla malattia, condannato a morire eternamente sulla sua poltrona. Eppure hai scritto che l’idea di Dio nasce dall’amore incondizionato che il bambino prova verso suo padre, dall’immagine che il bambino confeziona della sua onnipotenza e in quell’immagine c’è tutto il carico di amore, tenerezza, illimitatezza che staziona negli occhi dei bambini. In quegli occhi giganteggia la figura del padre. Cormac McCarty, in un romanzo che ha voluto intitolare La strada (un omaggio alla tua di strada?), rovescia il tavolo: è il figlio ad essere la carne di Dio. La vostra è stata una generazione di fratelli, di figli che rinnegano i padri, di figli che si slegano dai padri, di figli che fuggono dalla casa paterna, di figli senza padri. Sulla strada scorrazzano solo gli orfani. I padri sono rinchiusi altrove, spariti, volatilizzati. Morti. Hai cercato un’altra filiazione. Sentivi, confusamente, dentro di te un’altra origine, un’altra destinazione. Hai chiamato questa realtà, dalla quale pensavi di provenire e alla quale eri destinato, oscura e luminosa allo stesso tempo, «angelo». «Ecco perché la vita è sacra: perché non è un evento casuale. Perciò, ancora una volta, dobbiamo amarci e rispettarci l’un l’altro, fino al giorno in cui saremo tutti angeli che ricordano il proprio passato». Restano le madri, ma questa è un’altra storia.
I morti, Jack, non tacciono. Lo sapeva bene Edgard Lee Masters quando compose L’antologia di Spoon River. Lo sa un altro che ha amato la tua strada e che, seguendo le tue orme, ha cantato di essere nato per correre. Ebbene Bruce Springsteen, a un certo punto della sua lunga carriera, ha ceduto, ha aperto il suo mondo poetico ai morti, ha iniziato a popolare di visione di ossa le sue canzoni, non solo di ossa, di polvere e di sangue e di torri che si sbriciolavano e di pompieri che salivano e di tombe di fumo. Poi, non pago, ha poggiato un orecchio sulla terra, ha fissato le lapidi e ha sentito, e poi cantato, la voce dei morti. E cosa dicevano i morti? Emettevano un lungo interminabile sussurro: siamo vivi, siamo vivi, siamo vivi.
Lo scrittore peruviano Renato Cisneros conclude il suo romanzo La distanza che ci separa con queste parole: «Se i tuoi morti ti scelgono, se ti seguono, è perché vogliono che tu gli dia voce, che tu riempia gli spazi vuoti, le crepe; che accumuli, amministri e condividi le loro bugie e le loro verità che, in fondo, non sono così diverse dalle tue. Forse scrivere è proprio questo: invitare i morti a parlare attraverso di noi».
Sono qui per sentire la tua voce, Jack. Così come sento la voce di mio padre. A volte è azzurrina e limpida. Altre oscura e simile a un tonfo. Queste pagine sono un orecchio prestato alle tue parole. Ogni pagina è il canto dei morti. Perché ormai l’ho imparato, lo so, Jack. I morti hanno sete d’amore.
Canzone per Jack Kerouac
(Canto per essere libero)
La mano che non afferra
L’occhio che non vede
Il bambino che non ride
L’acqua che non disseta
Canto per essere libero
Il morto che non parla
La sigaretta senza mano
Il tavolo senza gambe
La partita senza sconfitta
Canto per essere libero
Mio padre ora vola nel tempo
Ha lasciato la torre senza finestre
È dura mettersi in viaggio senza pelle
Mio padre cammina nella neve aspettando
Che qualcuno lo prenda per mano
La maschera è caduta nel fango
La stella è scivolata nella pozzanghera
Dove è la via del ritorno?
Dove è la via del ritorno?
L’adesso è solo una moneta perduta
I morti – ho imparato – hanno fame d’amore
Nello specchio del silenzio
Sento la sua voce chiamare
Nell’inganno del sogno
Vedo la sua notte nella mia
Non può essere
Non può essere
L’usignolo ha smesso di sognare
Non può essere
Non può essere
L’orologio ha smesso di battere
Il bambino piange alla luna
La fune scivola dalle mani
Dove finiscono le canzoni quando si muore?
Dove finiscono i ricordi quando si muore?
Ho imparato che nel volo ciò che conta
è la caduta
Dove è la via del ritorno?
Dove è la via del ritorno?
La lacrima incendia
La fiamma vacilla
Nella stanza infuocata della nascita
Ho visto il re tornare su ali dorate
La palla infuocata corre nel vuoto
Il piccolo incendio in una galassia perduta
Da lontano tutto è solo una biglia lanciata da un bambino
I morti hanno fame d’amore
I vivi hanno fame d’amore
Canto per essere libero
(Tratto da Il vangelo secondo Jack Kerouac - Claudiana)
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