La prima volta con Bruce
Grazie agli amici di “Bergamo racconta Springsteen”
Parto con un ricordo (ahimè lontano). Ho 15 anni, sono
piazzato davanti alla Tv, aspetto di vedere “Numero 10” (se non ricordo male),
programma con Gianfranco De Laurentis e Michel Platini (si può dire? Ci sono
molti interisti da queste parti?). Sono in anticipo. Parte un video (indizio:
appare una bandana nera). Un cantante a me sconosciuto con un cognome per me
impronunciabile. Bum! Capite, sono a digiuno (o quasi) di musica, la mia
iniziazione musicale è stata affidata fino a questo punto a mia sorella, poco
più grande di me. Bum! Un pugno nello stomaco. Che roba è? Sono impressionato
sbalordito sbattuto catapultato in un altro mondo. Bum! Rabbia forza energia una
voce incredibile. Bum! È l’AMERICA che mi sta chiamando che mi sta inseguendo
(e insanguinando) che mi sta acciuffando fin dentro casa.
Bum! Bruce
Springsteen.
BRUCE SPRINGSTEEN
B-R-U-C-E
S-P-R-I-N-G-S-T-E-E-N!!!
31 anni (e
tre libri) dopo siamo ancora qui a parlare di Bruce Springsteen. Ci
sono stati altri amori, tanti, ma lui è impiantato dentro la mia storia con
radici possenti e inamovibili. Non si sposta da lì, è inutile. Certo con gli
anni, tanto è cambiato: quella rabbia, quella furia, quella forza, quella
esplosiva fisicità - che tanto avevano sedotto un ragazzino mingherlino a
caccia della propria identità - si sono come aperte per lasciare intravedere
ben altro: i demoni contro cui l’uomo non ha mai smesso di lottare, le
ombre, la vulnerabilità, la fragilità, la depressione, le cadute, la poesia. E
il padre (o il Padre). Perché dentro la mente dell’uomo e dell’artista
Springsteen è sedimentata quella figura lì. Lo aspetta ancora in cucina,
costringendolo a stare sotto la pioggia, come quando Bruce era giovane, come raccontava
magnificamente – che narratore fantastico che è Mr Springsteen! – nel parlato
che introduceva The River in quel tesoro inestimabile (quanta roba!) che era il
Live 75-85 (mamma grazie ancora per avermelo regalato!). E poi nella sua
autobiografia, che diciamocela tutta, è un libro sul padre. C’è una frase che
continua a pedinarmi, quella con cui Bruce descrive la sua lunga lotta (cito
a memoria): trasformare i fantasmi che ti perseguitano in progenitori che ti
accompagnino. (Ecco io lo sto facendo ancora, ci provo, nel mio piccolo).
In
mezzo c’è stata la maledizione scagliata di Adam Raised a Cain, la casa deserta
di My Father’s House, la separazione di Independence day e poi finalmente gli
squarci di Walk Like a Man e soprattutto – come amo questa canzone – di Living
Proof. Squarcio. Cielo. Apertura. Fede. Figli. Futuro. La gabbia che scopri che
è aperta. Le sbarre che ti accorgi sono solo le tue vecchie ombre. E poi ancora:
“I vostri peccati siano solo i vostri figli miei” e Gesù che muore dannatamente
solo. “Il vangelo secondo Bruce Springsteen” - e il suo fratello maggiore, appena uscito, “Il
vangelo secondo il rock”, scritto assieme all’amico fraterno e super esperto di
musica Massimo Granieri (c’è anche Bruce naturalmente) è nato così: dalla voglia
di unire tutti quei sassolini – tutti quei semi - che Bruce ha sparso nella sua
arte (e che ha sparso nella vita di tutti noi).
E quello che, alla fine, ne è
uscito è non solo la battaglia con il padre, ma anche un dialogo un’apertura un
desiderio un richiamo un accenno uno slancio verso qualcosa d’altro. Verso quel
cielo che magari - mentre sali sulle Torri gemelle e stai morendo, mentre
tossisci fino a sputare il sangue, mentre senti che puoi solo salire e che non
tornerai mai più indietro e che sta andando tutto a puttane -, quel cielo
riesci ancora un attimo, un attimo ancora, un attimo solo, a vederlo: “cielo di
oscurità e dolore/ cielo di vita benedetta”.
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