Luigina Mortari. Aver cura di sé

In quello straordinario ri-pensamento della cultura classica, attorno al quale ruotò l'ultimo tratto della sua indagine filosofica, Michel Foucault così tematizzava l’interrogativo (e il lascito) più denso di quella stagione: “A che punto mi trovo in quanto soggetto etico di verità? In che misura, fin dove, fino a che punto sono effettivamente capace di essere identico come soggetto d'azione e soggetto di verità?”. Quella che prendeva forma, sotto lo sguardo del filosofo francese, era un'altra filosofia possibile: quella centrata sulla cura di sé, quel filosofare che si traduce immediatamente in bios, in scelta di vita, che scolpisce una stilistica dell'esistenza o per dirla, con le parole di Pierre Hadot, quel pensare che si sostanzia nella “trasformazione della maniera di essere e del modo di vivere”. Luigina Mortari – la filosofa che ha pensato, più a fondo e con maggiore finezza interpretativa, il pensiero della cura nel panorama filosofico contemporaneo – aggiunge alla sua ricognizione un altro tassello: dopo la cura degli altri, la cura del sé.

Non si tratta di due sfere distinte e separate ma anzi di emisferi intimamente congiunti che si inverano uno nell'altro: l'esserci è sempre un con-essere, la trama dell'umano è sempre intimamente relazionale, la cura di sé implica sempre “un'etica della condivisione”. Ma se - come annota Mortari - il compito essenziale dell'esserci è “cercare la sapienza delle cose umane”, se esso si sostanzia nel “seminare il tempo di semi di senso” e se questo inveramento è impensabile senza “la passione di diventare il proprio essere possibile”, dove  rintracciare il motore di questa con-versione? Dove sorprendere la radice, la spinta alla cura? Per Mortari è “la tensione euristica a rendere possibile le trasformazioni su di sé”. E' il pensiero che in-forma il vivere: la mancanza di “un ordine del pensare” si traduce “in un disordine dell'esistenza”. Ma come praticare, allora, un pensiero capace di quella “composizione di senso” senza la quale l'esistenza si sfibra, si sfilaccia, perde coloritura? È possibile una pratica del pensare che aiuti a diventare soggetti della propria esistenza, pur nella consapevolezza della “inevitabile provvisorietà e parzialità di ogni risposta” a cui il pensiero può approdare? Un'ascesi filosofica capace di disseminare il tempo “di percorsi di senso”?  Mortari fa sua l'opzione della filosofa spagnola Maria Zambrano a favore dell’umiltà del pensiero, di quel “sapere di non sapere” che Socrate pratica all'origine del pensiero filosofico. A differenza del sapere platonico che sperimenta un guerreggiamento, che sfodera un vocabolario “costantemente riferito all'ambito della guerra” (Umberto Curi), Mortari suggerisce un altro metodo, un diverso approccio, “un girare intorno”, come forma del pensare. “L'investigare che gira intorno all'oggetto non va inteso come una forma di assedio, che si spinge al cuore di una questione intesa come una fortezza da espugnare, ma un girare intorno che si mantiene sulla circonferenza esterna e che da lì esamina la questione ponendosi di volta in volta da prospettive differenti. La comprensione intera si realizzerebbe solo dopo aver sperimentato tante prospettive diverse quanti sono gli angoli infiniti di una circonferenza”.

Una comprensione che sbocca in “risposte plurali”. Nella consapevolezza, da un lato, che “pensare senza tremare” (Zambrano) è impossibile e, al tempo stesso, che il pensiero è capace di involarsi: “Il pensare – scrive Mortari – di cui ha necessità chi va in cerca del sapere dell'anima, dell'arte che consente di autenticare l'esistenza, è un pensare fuori dall'ordine, perché si tiene estraneo alle regole stabilite e osa esplorare sentieri non frequentati. E’ un pensare scomodo, un pensare alato, perché si allontana dal pensiero consueto, quello che spesso rimane impantanato nelle cose di poco conto”. “A che varrebbe – si chiedeva Michel Foucault – tanto accanimento nel sapere, se non dovesse assicurare che l'acquisizione di conoscenze, e non, in un certo modo e quanto è possibile, la messa in crisi di colui che conosce?”.

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