La generazione oltre il desiderio - Paola Marion

È una rivoluzione antropologica della quale fatichiamo a cogliere la portata. E a misurarne, con nettezza, gli effetti. Lo sganciamento della procreazione dalla sessualità. La prima tende a sottrarsi alla seconda, autonomizzandosi. Se la nascita è stata ormai medicalizzata, il nostro è il tempo nel quale si compie una ulteriore dislocazione: quella che affida all'intervento bio-tecnologico il momento aurorale della generazione. “Da una sessualità senza generazione – da tempo ormai scontata – si sta passando a una generatività senza sesso” (Natoli). Viene ad allentarsi, a destrutturasi un vincolo che si era mantenuto intatto  per  tutta la storia dell'umanità. E’ un passaggio colto, con lucidità, dalla psicanalista Paola Marion ne Il disagio del desiderio.  “La disgiunzione tra sessualità e procreazione introdotta dai nuovi modi di generare – scrive Marion - rappresenta una frattura, un salto estremo, e rimette in discussione il significato e il posto dei due termini nell'ambito dell'individuo e della coppia”.

Quale impatto produce questa disarticolazione  sulla sessualità? Quale torsioni subisce il desiderio, nel momento in cui lo spazio generativo esce dalla dimensione a due – fisica, psichica, emotiva, relazionale – per aprirsi a presenze “altre”? Fuoriesce, cioè, da una dimensione privata per impiantarsi in un terreno medicalizzato? Che impatto ha questa disseminazione sulla identità dei “figli del desiderio”, come - con preveggenza - ha chiamato i figli del nostro tempo, il filosofo francese Marcel Gauchet? Il cambio di orizzonte è epocale. “Il bambino – scrive Gauchet - è diventato un figlio del desiderio, del desiderio di un figlio. Era un dono della natura o il frutto della vita attraverso di noi, certo, ma senza di noi o malgrado noi. D'ora in poi non potrà che essere il risultato di un volontà espressa, di una programmazione, di un progetto”. Una volontà che è, sempre più spesso, affidata alle biotecnologie e che forza i limiti della natura.

La rivoluzione è ontologica, prima ancora che medica. Perché l’orizzonte nel quale essa si distende è l’eliminazione della radicale contingenza che da sempre ha segnato il venire al mondo. Chiamata in causa è dunque, come mostra Marion, l’origine. “L'elemento specifico e caratteristico di queste situazioni riguarda la moltiplicazione di luoghi e figure che abitano lo spazio fisico e temporale del concepimento e quindi il momento dell'origine. L'altrove è lo strappo sulla fondazione dell'origine, che può rimanere una questione aperta tanto nel bambino che nei genitori e costituirsi come “segreto” di famiglia”.

È la stessa maternità ad essere de-formata, ad inglobare dimensioni prima ad essa sconosciute, a contaminarsi.  “Il rapporto sessuale che significa l'incontro fisico, affettivo, valoriale, tra due persone, è ora interferito o sostituito da procedure tecnologiche sempre più raffinate, ma anche alienanti. La biotecnologia, che introduce un aspetto alieno e di artificio, rimaneggia la realtà del concepimento e cerca di aggirare il discorso del corpo, dando vita ad altri fantasmi. L'uscita dalla “vertigine tecnologica” costringe a fare i conti con gli aspetti traumatici sollecitati dall'utilizzo della tecnologia". In questo modo il desiderio di un figlio non è più un desiderio “che va verso l'altro e si incontra con il desiderio dell'altro per poi riconoscere il terzo a cui ha dato vita”. Diventa insomma auto- centrato, irriflesso, autistico. Ma non solo. Ad essere in-quietato è un confine estremamente sensibile, che convoca i fantasmi psichici di cui il corpo costituisce una sorta di ancoramento ( e di freno). Marion: “L'obiettività, la realtà esterna costituiscono lo zoccolo duro, la barriera, il freno a un'esplosione della fantasia senza confini, al vagheggiamento di possibilità infinite. Il corpo costituisce il confine sottile tra ciò che reale  e ciò che è fantasia. Il corpo, luogo di nascita della mente, ma anche suo limite, si presenta come una realtà che pone dei freni e può ribellarsi alle richieste  a cui è sottoposto”.


Quali slittamento subisce il desiderio “disincarnato”, come lo definisce Lucetta Scaraffia? Quale psicanalisi – si chiede Marion – è possibile ­ senza desiderio? Se il desiderio è quella “mancanza a essere” che incide la struttura dell'uomo, come voleva Lacan, quale orizzonte si apre (o si sbarra) quando questa mancanza viene otturata dal discorso biotecnologico? E, infine se proprio dell’uomo è essere “natale prima ancora che mortale” (Zucal), se la nascita è  “l'inaudita novità di qualcuno che arriva in noi”, se il suo segreto è l'espropriazione, se - insomma - “la nascita è sorgente soggettiva di rivoluzione” (Sloterdijk), cosa è destinato ad accadere quando questa espropriazione/novità/rivoluzione sarà confiscata  dalle bio-tecnologie?

 
 

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