Con Xi Jinping la Cina cambierà davvero?
Accolti da un'aria gelatinosa e malsana, con lo smog che è tornato ad avvolgere nelle sue spire la capitale cinese, i quasi tremila delegati stanno sbarcando a Pechino per dare il via, martedì, ai lavori dell'Assemblea nazionale del popolo. Il Parlamento cinese, in 15 giorni, incoronerà ai massimi vertici del Paese Xi Jinping (presidente) e Li Keqiang (premier), congederà definitivamente l'era di Hu Jintao e Wen Jiabao e, soprattutto, svelerà il programma politico a cui resterà inchiodato il gigante asiatico nei prossimi dieci anni.
Le prime indicazioni sulla rotta seguita dalla nuova coppia al potere emergeranno anche dalla lista dei nuovi ministri: a Pechino sono sempre più pressanti le voci di un rimpasto. Ma soprattutto dai nomi che entreranno a far parte del Consiglio di Stato, il massimo organo di governo del Paese, composto da un presidente, quattro vice-presidenti, cinque consiglieri di Stato e ventisette membri a capo di ministeri e commissioni. «Xi Jinping e Li Keqiang dovranno uscire dall'ombra e conquistare una nazione flagellata dalla corruzione, dalla diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e dal degrado ambientale che ha raggiunto livelli ben più gravi di dieci anni fa», ha detto all'agenzia Bloomberg Kenneth Lieberthal, direttore del John L. Thornton China center. Proprio la lotta alla corruzione sembra essere il chiodo fisso di Xi che, nei giorni scorsi, ha agitato lo spettro che più ossessiona le stanze del potere di Pechino: che la Cina possa fare la stessa fine dell'Unione Sovietica. Come ricorda il sito AsiaSentinel, nei giorni immediatamente successivi alla sua elezione, 27 funzionari di alto livello del Partito sono stati arrestati come primo tangibile segno della lotta al malaffare. Le prime settimane della leadership dell'uomo forte del Partito-
si legge su AgiChina 24 -sono state segnate «da provvedimenti ad hoc per evitare l'impressione di una classe dirigente chiusa in un mondo di privilegi, come la norma anti-sprechi (nei confronti dei top manager delle aziende di Stato) e la norma anti-stravaganze (contro le spese inutili dei politici in visita nel Paese)». A imporre l'altro grande tema sarà la cronaca. Per analisti e osservatori internazionali, è inevitabile che il problema dell'inquinamento colonizzi l'agenda dei lavori. A Pechino, dopo i terribili giorni di gennaio, è di nuovo emergenza. La concentrazione di Pm2.5 - le temibili polveri sottili che costituiscono il rischio maggiore per la salute - è schizzata nelle ultime ore a quota 469 microgrammi per metro cubo. Il limite indicato dall'Organizzazione mondiale della Sanità è di 25 microgrammi.
Infine il capitolo economia, il tassello più importante dell'intera architettura politica del regime, quel volano - la ricchezza - che ha costituito il più potente freno alla diffusa "contestazione" sociale. Riuscirà il partito a garantire ancora l'equazione ricchezza in cambio di stabilità? E la coppia Xi-Li sarà in grado di doppiare i risultati dei predecessori? Nel 2002, quando Hu Jintao e Wen Jiabao, salirono al potere, il Pil cinese era pari a 12mila miliardi di yuan. Dieci anni dopo, la ricchezza è cresciuta di almeno 4 volte, con il Pil che ha raggiunto quota 51,9mila miliardi. La Cina è diventata il più grande esportatore del mondo e ha superato il Giappone come più grande economia, seconda solo agli Stati Uniti. Lo shopping all'estero è il segnale più evidente del nuovo strapotere cinese: le acquisizioni fuori dai confini di casa lo scorso anno sono volate a 54 miliardi di dollari, nel 2002 ammontavano a circa un miliardo. Gli obiettivi della nuova leadership non sono meno ambiziosi. Il 18° Congresso ha già ratificato i bersagli da centrare: raddoppiare Pil e redditi entro il 2020. Se il risultato sarà agguantato, la ricchezza del Dragone toccherà quota 80mila miliardi di yuan tra meno di dieci anni. Questo avverrà solo al prezzo di un riassestamento ciclopico dei fondamenti dell'economia cinese. Che dipenderà molto meno dalle esportazioni - come avvenuto fino a oggi - e sempre più dai consumi interni. Una tendenza peraltro già in atto. Secondo l'Ufficio nazionale di statistica, nei primi tre trimestri dello scorso anno, il contributo delle esportazioni alla crescita del Pil è diminuito del 5,5 per cento, il contributo degli investimenti è cresciuto del 50,5 per cento, quello dei consumi del 55 per cento.
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