Terre rare, nuovo scontro Usa-Cina

La luna di miele, inaugurata dalla missione americana del vice presidente cinese Xi Jinping, sembra già evaporata. A colpi di dossier. Gli Usa, spalleggiati da Europa e Giappone, si scagliano contro Pechino per la gestione delle cosiddette terre rare - 17 elementi chimici indispensabili per diverse tecnologie sofisticate, dagli smartphone alle bombe "intelligenti", dalle turbine eoliche alle auto elettriche -, sollevando il caso davanti all'Organizzazione mondiale per il commercio (Wto). Il motivo? Le restrizioni cinesi sarebbero una aperta violazione delle regole sugli scambi internazionali. Lo stesso presidente Usa Barack Obama è sceso in campo (con un occhio alla battaglia elettorale): «Se la Cina lasciasse semplicemente lavorare il mercato non avremmo obiezioni ma le sue politiche attuali lo stanno impedendo e vanno contro le stesse regole che la Cina ha accettato di seguire». Una "stilettata" che Pechino ha subito respinto, evocando scenari bellicosi: «La decisione Usa provocherà una nostra reazione e non servirà a sanare le divergenza», recita un commento affidato all'agenzia ufficiale "Xinhua".
Quella sul commercio (e sulle valuta) è una "guerra" di logoramento che impegna da tempo i due colossi. E che rischia di precipitare. Dopo una crescita costante nei confronti del dollaro per quasi due anni, lo yuan cinese ha iniziato nuovamente a indebolirsi, rendendo le esportazioni cinesi più competitive sui mercati. A scapito di quelle Usa. Il deficit commerciale tra i due Paesi lo scorso anno è schizzato a 295 miliardi di dollari, 23 miliardi in più del 2010: lo squilibrio è la principale fonte di attrito tra le due nazioni. La Cina oggi produce almeno il 90 per cento delle terre rare del mondo. Nel luglio 2010 ha deciso di tagliarne del 40per cento la produzione. Risultato: i prezzi sono lievitati. Secondo l'agenzia Bloomberg, anche quest'anno i livelli di produzione resteranno praticamente invariati a 31.130 tonnellate. «Dobbiamo tutelare l'ambiente», si è giustificata Pechino. Ma c'è chi sostiene che il piano cinese è ben diverso. «Le restrizioni all'esportazione delle terre rare non sono dettate dall'esigenza di preservare l'ambiente, ma hanno lo scopo di favorire l'industria cinese», ha detto un funzionario europeo citato dall'International Herald Tribune. I tagli alle esportazioni hanno moltiplicato sui mercati internazionali i prezzi delle terre rare. Lo stesso non è accaduto sul mercato cinese, rendendo di fatto più appetibile per le multinazionali spostare le fabbriche in Cina.

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