La sfida dei Brics al dollaro

È l'ambizione che da anni sorregge il gruppo dei cosiddetti Brics, la "strana alleanza" tra Russia, Cina, India, Brasile e (ultimo arrivato) il Sudafrica: fondare un sistema monetario internazionale che scalzi l'Occidente dal suo "piedistallo". Creando un'architettura istituzionale alternativa a quella che ha nella Banca mondiale il suo centro di gravità. «Stiamo valutando la possibilità di creare una nostra banca per mobilitare le risorse e impiegarle in infrastrutture e progetti di sviluppo sostenibile che portino progresso ai Brics», si legge nel comunicato congiunto rilasciato alla fine del vertice che ha visto i cinque leader riuniti ieri a New Delhi. Un impegno destinato a rimanere lettera morta, come maliziosamente suggeriscono alcuni analisti? Dietro le parole si intravedono progressi concreti? C'è chi fa notare che il progetto è in rodaggio da anni e che i Brics sembrano accontentarsi, più modestamente, di chiedere più peso nella Banca mondiale e nel Fondo monetario internazionale. E la creazione di un organismo che sostenga i Paesi in via di sviluppo, «da sud a sud», come ha sintetizzato il premier indiano Manmohan Singh Singh. I leader dei "Cinque" si sono poi impegnati nella rituale promessa ad aumentare la collaborazione. I Brics - che oggi rappresentano il 40% della popolazione mondiale e circa il 18% del Pil mondiale e per alcuni economisti sono destinati a superare entro il 2050 il peso delle economie di Usa e Europa - sono il segno più evidente «dello spostamento del centro di gravità dell'economia mondiale». Alcuni dati catturano il trend. Dal 1990 la quota del Pil mondiale prodotta dagli Stati Uniti si è ridotta dal 25 al 20% mentre la quota dell'Asia è passata dal 25 al 33%. La Cina, nel frattempo, è diventata il più grande risparmiatore del mondo (con una cifra stimata di 3.200 miliardi in depositi), e il maggiore investitore (2.900 miliardi di dollari di investimento lordo nel 2010). Ma a dispetto delle previsioni, i "Cinque" non sembrano aver guadagnato in peso specifico nel campo delle istituzioni internazionali.
Ad infiacchirne la corsa, ci sono due fattori. Primo: la perdita di "lucentezza" delle loro economie. La crisi che da anni sta azzoppando Europa e Usa inizia a far sentire il suo morso anche altrove. La stella del Brasile già sembra parzialmente offuscata: la crescita realizzata lo scorso anno è stata del 2,7%, contro il 7,5% del 2010. Ne frattempo i prezzi al consumo nel Paese sono aumentati del 6,2% rispetto all'anno precedente a gennaio. Qualche "problema" lo patisce anche la Cina. Come annunciato dal premier Wen Jabao, il Pil del Dragone crescerà nel 2012 "solo" del 7,5%. Una crescita tutt'altro che trascurabile. Ma la curva cattura la frenata: lo scorso anno l'economia cinese era balzata del 9,2%, del 10, 4% due anni fa. Il Paese deve fare i conti poi con la voragine debito, che spinge a soluzioni fino ad ora impensate, come testimonia il recente acquisto da parte del Giappone di 10 miliardi di dollari in titoli cinesi.
Se la crescita della Russia è stimata al 3,2%, non mancano le dense ombre. Come riportato da AsiaTimes, la fuga di capitali dal Paese è schizzata a quota 38 miliardi di dollari nel quarto trimestre del 2011. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, l'India si colloca al 134esimo posto (su 183 Paesi) per «facilità di fare affari». Ma sono soprattutto le fratture politiche a scheggiare la solidità dell'alleanza. Come scrive il New York Times, India, Brasile e Sudafrica sono democrazie e hanno già usato il loro gruppo separato trilaterale (Ibsa) come piattaforma per il coordinamento delle posizioni su molti importanti dossier. Cosa poco gradita al Pechino. Ma è soprattutto tra i due giganti asiatici, India e Cina, che si registrano le maggiori tensioni: come la controversia sui confini che risale a decenni fa, i rapporti - di odio per l'India, di amore per la Cina - verso Pakistan, il duro confronto sul seggio all'Onu per Delhi. L'India negli ultimi anni ha imposto una serie dazi su prodotti cinesi per frenarne l'invasione.  Anche l'ingresso del Sudafrica nel gruppo - che da Bric è diventato Brics - è stato fonte di attriti. Come ha notato il Wall Street Journal, l'ingresso è stato fortemente voluto dalla Cina «come punto di accesso per l'intero continente africano, delle cui risorse naturali Pechino ha sempre più fame».

                                                                      

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