La vocazione asiatica di Obama

Pochi giorni fa era stato il segretario della Difesa Leon Panetta a dirlo senza mezzi termini: la fine del conflitto in Iraq e l'avvicinarsi del disimpegno in Afghanistan "libereranno" truppe Usa fresche per lo scenario asiatico. Ieri è stata la volta del segretario di Stato Hillary Clinton, dalle Hawaii, chiarire che per gli Usa, «dopo un decennio in cui abbiamo investito immense risorse in questi due teatri», è arrivato il momento di cogliere nuove occasioni. E l'Asia «è la regione dove le occasioni abbondano».  Ma per farlo è essenziale «una più forte presenza militare» perché essa «fornisce vantaggi vitali». D'altronde, ha insistito il segretario di Stato Usa, «è sempre più evidente che il centro di gravità strategico ed economico del 21esimo secolo sarà l'Asia-Pacifico». La Cina, in questa visione, resta l'avversario da contenere - e la Clinton ha bacchettato Pechino su Tibet e diritti umani - ma anche il partner chiamato «a un più ampio impegno globale».
E che l'Asia sia sempre più il banco di prova su cui si gioca la leaderchip mondiale degli Usa lo conferma la (fitta) agenda politica del presidente Obama. Che parteciperà - è la prima volta di un capo della Casa Bianca - ai lavori dell'Apec, il forum di cooperazione economica Asia-Pacifico, volerà in Indonesia e in mezzo visiterà l'Australia, dove rafforzerà la partnerschip militare tra i due storici alleati. Con tanto di imminente dispiegamento di 500-1.000 marine a Darwin. La vocazione asiatica della presidenza Obama non è certo una novità: nel 2009 l'inquilino della Casa Bianca è volato in Cina per poi tornare - dopo il sonoro schiaffo nelle elezioni di medio termine - in Asia (India, Indonesia, Giappone e Corea del Sud) per "tirare su" posti di lavoro. Ospitando poi, a sua volta e con tutti gli onori, il presidente cinese Hu Jintao a Washington. «Il Pacifico - ha detto Obama nel 2009 a Tokyo - ha contribuito a plasmare la mia visione del mondo».

Per gli Usa l'Asia resta un gigantesco intreccio di opportunità e di sfide, di occasioni e minacce. A cominciare dal fronte militare. Il National military strategy of United States of America 2011 lo dice a chiare lettere: «Manterremo una forte presenza militare nel nordest dell'Asia per decenni». Ribadendo le alleanze storiche (Tokyo, Sydney e Seul) e confermando che gli Usa «estenderanno la cooperazione militare con Filippine, Thailandia, Vietnam, Malaysia, Pakistan, Indonesia e Oceania». Ma la supremazia Usa deve fare i conti soprattutto con la sua economia in panne. E qui che fioccano le occasioni di cui ha parlato Hillary Clinton. Secondo i dati del Census Bureau, gli Stati Uniti nel 2010 hanno esportato nel Pacifico beni e servizi per un valore di 326,4 miliardi di dollari, superando le esportazioni verso l'Unione Europea e il Canada. Dal 2000 al 2010, le esportazioni verso l'area del Pacifico sono aumentate del 71,5 per cento. Un tema al quale Obama, impelagato nelle secche della crisi economica in tempi di corsa per la rielezione, è particolarmente sensibile. Ed è facile capire il perché. Secondo il Japan Times, ogni miliardo di dollari di nuove esportazioni di beni contribuisce a creare seimila posti di lavoro a "casa". Ben pagati.
                                                                       

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