Cina, il libro bianco della difesa

Le rassicurazioni: «La Cina persegue una politica di natura difensiva e rimane fedele al principio strategico di "attacco solo se attaccati"». La puntura di spilli indirizzati agli Stati Uniti: «La transizione verso un mondo multipolare è irreversibile». I toni aggressivi: «La Cina è di fronte a sfide che coinvolgono la sua sicurezza». Pechino ha diffuso il libro bianco della difesa (China's National Defense in 2010), con il duplice scopo di aumentare la trasparenza in materia militare e ridisegnare gli obiettivi strategici. Se i target sono sostanzialmente gli stessi del precedente documento del 2008 - dalla salvaguardia della sicurezza nazionale al "mantenimento dell'armonia sociale" fino all'ammodernamento della macchina militare - sembra accentuarsi l'attenzione sul ruolo e le dinamiche che tagliano l'area "Asia-Pacifico". Che sta diventando «sempre più volatile». «Ci sono tensioni a intermittenza nella penisola coreana. La situazione in Afghanistan resta grave. Gravi turbolenze persistono in vari Paesi. Ci sono evidenti discordie etniche e religiose. Altrettanto vive restano le controversie sui diritti territoriali e marittimi. Così come le attività terroristiche, separatiste ed estremiste. Gli Stati Uniti stanno rafforzando le alleanze regionali, aumentando il coinvolgimento nelle questioni di sicurezza regionale».
Non mancano i riferimenti d'obbligo alla questione di Taiwan (la riunificazione rimane un dogma inscalfibile), al Tibet e alla questione iughura. Ma anche aperture sulla trasparenza. Viene reso noto un "rendiconto" delle spese militari: 601 miliardi di yuan (65 miliardi di euro), più 12,7% per il 2011. Un dato che resta lontano dalla spesa Usa (oltre 530 miliardi dollari) ma che si accompagna alla nota accusa americana rivolta alla Cina di occultare parte del bilancio. Nonostante le dichiarazioni, la crescita militare cinese spaventa. Il National military strategy of United States of America 2011, licenziato all'inizio dell'anno, suona come una risposta alla corsa del Dragone: «Manterremo una forte presenza militare in Asia per decenni». Il documento ribadisce non solo la alleanze storiche (Tokyo, Sydney e Seul) ma conferma che gli Usa «estenderanno la cooperazione militare con Filippine, Thailandia, Vietnam, Malaysia, Pakistan, Indonesia e Oceania». L'Australia da parte sua ha avviato una massiccia acquisizione di armi che include - secondo il Military Balance 2010 dell'International Institute for Strategic Studies - il raddoppio del numero di sottomarini e il varo di otto nuove fregate. Come si legge su Orizzonte Cina anche Tokyo «ha indicato la Cina quale potenziale minaccia per la sicurezza nazionale».
A preoccupare è l'aggressività cinese. Come spiega Steve Tsang della Oxford University «dichiarando che il Mar cinese meridionale è un "interesse centrale" nazionale ed elevandolo allo stesso status di Tibet e Taiwan, Pechino ha fissato marcato un altro territorio». Le criticità stanno tutto negli appetiti energetici della Cina e nella vulnerabilità delle rotte marine attraverso le quali viaggia il combustibile destinato alle industrie del Dragone. Nel 2008 la Cina ha importato il 56 per cento del suo petrolio e si stima che ne importerà circa i due terzi entro il 2015, quattro quinti entro il 2030. Una corsa inarrestabile? In realtà c'è chi frena. Kim Jin Hyun dell'Università di Seul, sul Center for strategic and international studies, taglia corto sulle velleità egemoniche del Dragone. Quello che azzopperà la corsa cinese è un limite strutturale. Riassumibile in tre parole: energia, cibo e acqua.                                                         

Commenti

Post più popolari