Il Giappone e il rapporto con la natura

“L’unica cosa che permane è che nulla permane”. Così l’orientalista Ian Buruma sul Wall Street Journal cattura un’attitudine fondamentale per capire il Giappone: il rapporto con la natura. Una natura “friabile”, che si può “scomporre”, che sa essere terribile e temibile, che inghiotte e squassa. La fragilità è un elemento costitutivo dell’architettura giapponese, i cui elementi base sono il legno e la carta. I giapponesi, scrive Buruma, non costruiscono per l’eternità. La distanza rispetto a quanto avviene nell’Occidente è abissale. Lo stesso senso del sacro è permeato da questa vulnerabilità. L’altare più famoso dell’intero shintoismo, così sacro che solo i reali possono officiarvi riti, si trova nel Giappone centrale a Ise. Scoperto 1500 anni fa, è al tempo stesso il più antico e il più nuovo della religione giapponese. Viene abbattuto e ricostruito ogni venti anni. Lo scintoismo d’altronde è un mosaico composito di riti “per placare le forze della natura”. Dal momento che questa può essere benevola e terribile, gli dei devono essere omaggiati con offerte, cerimonie e sacrifici. “Essi non impongono leggi, dogmi o criteri morali ai quali ancorare l’azione umana. Vogliono solo rispetto”. 

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