150 anni: cosa festeggiamo?
di Luca Torre
Cosa festeggeranno gli italiani il prossimo 17 marzo? Sembra che questa ricorrenza non sia l’occasione per ripensare o anche solo conoscere le ragioni dell’unificazione nazionale al di là delle retoriche di ogni matrice, ma sia proprio l’occasione per amplificare tali retoriche e sottolineare la mancanza di una storia nazionale condivisa. E’ evidente che gli italiani non si riconoscono in una storia comune. Forse perché troppo carichi di storia, troppo scaltriti da una conoscenza approfondita mediata dalla riflessione storico-politica di Guicciardini, Machiavelli, fino a Botero, Mosca e Pareto o, semplicemente, per una sorta di “dato ormai antropologico” amano dividersi come ai tempi dei comuni medievali. Così il 17 marzo per loro è l’occasione per ritirare fuori vecchie e nuove bandiere di ogni tipo e colore e sfilare come allo stadio e, proprio nello “stile curva-sud (o nord)”, da perfetti tifosi, gridare, come se fossero slogan, le proprie verità (o viceversa gridare i propri slogan come solenni verità).
Ho visto persone difendere il potere temporale dei papi, Pio IX e il Sillabo e rifiutare il pluralismo religioso e lo stato liberale in pieno 2011 e, con la stessa sicurezza, proporre di abbattere le statue di Garibaldi e “rivedere” la storia del Risorgimento. Ho visto persone, di una certa parte politica (ma immediatamente disconosciuti) bruciare in effigie Garibaldi definito eroe degli immondi perché, dopo lunghi e approfonditi studi, si è scoperto che l’unificazione non sarebbe stata un buon affare per il Settentrione d’Italia e - si potrebbe aggiungere perché ormai è un riflesso condizionato – le piccole e medie imprese che costituiscono la struttura portante dell’economia italiana. Immagine speculare: ho visto altre persone, in nome della verità storica, proporre la tesi che, sostanzialmente, il Regno borbonico non era né arretrato né povero e che i problemi del Meridione sono iniziati proprio con l’unificazione. E a una manifestazione, organizzata da una sezione locale della Società di Storia Patria della Puglia per il 150° anniversario dello stato unitario, uno dei relatori sosteneva: a) che Napoli – la capitale del regno borbonico, non l’intero regno – avesse sei milioni di abitanti e fosse una delle città più grandi e importanti d’Europa (fatto quest’ultimo vero, ma decisamente falso il primo); b) che il sud “stesse meglio economicamente sotto i Borboni” (immagino che il relatore ignorasse l’inchiesta di Franchetti sulle condizioni delle province napoletane, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria ancora nel 1873/74). Si potrebbe continuare l’elenco con tutta una serie di fatti, a volte ampiamente conosciuti dalla storiografia, estrapolati dal contesto e spacciati per verità inaudite che nemmeno Fortunato e Gramsci hanno avuto il coraggio di scrivere e diffondere, come ha detto in una intervista pubblica, rilasciata in occasione del ritiro di un premio letterario nella città di Bari, l’autore del best-seller del momento sull’argomento.
Cosa festeggeranno allora gli italiani il prossimo 17 marzo? Dobbiamo forse preoccuparci per la mancanza di una storia nazionale condivisa? Forse non è il caso di preoccuparsene perché le divisioni degli italiani sono solo l’indice della loro acribia. Poi ci sono cose più immediate a cui pensare, come la crisi economica e la riforma della giustizia. Infine, la politica interverrà anche in questo caso a risolvere ogni problema e disputa, interpretando al meglio il senso del pluralismo culturale con l’istituzione di una giornata della memoria borbonica e la ricorrenza della battaglia di Legnano. Chissà.
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