Cina, l'onda dei microblog

Un primo – timido – “assaggio” si è registrato domenica. A Wangfujing, la via dello shop­ping di Pechino a poca distanza da Piazza Tienanmen, sono apparsi i gel­somini e con essi si è formato un pic­colo assembramento. La polizia cine­se è intervenuta, in maniera “discreta”, per disperdere la folla che aveva ri­sposto a un appello inneggiante alla rivolta in Tunisia. Appello viaggiato at­traverso un microblog. Un strumento quello dei blog che si sta rivelando sempre più insidioso per Pechino. E che sta conoscendo una vera esplo­sione in Cina. I dati parlano chiaro. Secondo il rap­porto “China microblog annual re­port”, licenziato dall’Università di Shanghai, gli utenti di microblog (la versione cinese di Twitter, che in Cina è bloccato dalla censura) sono già ol­tre 125 milioni, e almeno 65 milioni u­sano il mezzo con regolarità.
Coma si legge sul Beijing Review, i «microblog sono penetrati in ogni aspetto della so­cietà cinese», capaci di affrontare, con una buona dose di spregiudicatezza, anche argomenti caldi, dalla corruzio­ne alla sanità alla sicurezza alimenta­re. Ed è un mezzo che sta guadagnan­do la fiducia di un pubblico sempre più vasto. Secondo una ricerca con­dotta dal giornale China Youth Daily il 73,7% degli intervistati «considera i mi­croblog un’importante fonte di news». Un esperimento di “democrazia” dal basso? Una cosa è certa: il partito è con­sapevole delle possibilità – pratica­mente illimitate – del mezzo. Tanto che ha deciso di usarlo. In prima persona. Il capo del Partito comunista cinese di Chongqing, nella Cina meridionale, Bo Xilai ha lanciato il primo «microblog rosso», con lo scopo dichiarato di «rac­cogliere i suggerimenti positivi» dei cit­tadini al governo e fa parte della cam­pagna per la «cultura rossa» lanciata dallo stesso Bo Xilai. Non solo: stando al Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del Parti­to comunista, al­meno 500 com­missariati hanno istituito propri ac­count.

Il regime sta mo­strando tutta la sua ambiguità nei con­fronti di Internet e della sua tumul­tuosa crescita. Come riportato da Agi China 24 , il Cnnic – China internet network information center – ha pub­blicato il primo rapporto semestrale sullo stato dello sviluppo della Rete nel Dragone. La Cina conta 457 milioni di utenti, pari al 23,2% dell’utenza mon­diale e al 55,4% dell’utenza asiatica. In crescita anche il peso della telefonia mobile: nel 2010 oltre 303 milioni di cinesi accedevano ad Internet attra­verso il cellulare. Per quanto ri­guarda la distri­buzione dell’u­tenza dal punto di vista geografi­co, la maggiore densità si con­centra nelle zone costiere, Pechino, Shanghai e Canton continuano ad essere le località con un bacino più rilevante. Si consolida la fa­scia d’età che va dai 20 ai 29 anni (ora il 29,8%) mentre il livello di istruzione medio rimane quello predominante (35,7%). Gli studenti rappresentano quindi la fascia sociale maggiormente esposta nell’utilizzo di Internet (30,5%), seguiti dai colletti bianchi (16,2%) e dai liberi professionisti (14,9%).
Un boom dinanzi al quale il regime è ambivalente. Da un lato promuove lo sviluppo della Rete, dall’altro moltipli­ca i controlli. La settimana scorsa il portavoce del ministero degli Esteri ci­nese Ma Zhaoxu ha respinto le «inter­ferenze » americane «sulla promozione dell’uso di Internet», definendole un’intrusione nei «suoi affari interni». D’altronde il Libro bianco su Internet di Pechino ha chiarito una volta per tutte che il Partito non è disposto a to­gliere le mani dalla Rete: «Nel territo­rio cinese Internet rimane sottoposta alla sovranità della Repubblica popo­lare cinese».

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