Cina, incubo siccità

È un gigantesco fronte che avanza. Fatto di polvere, sabbia e devastazione. Una linea di fuoco che dai deserti del Gobi e del Taklamakan nel Nord del Paese inghiotte ogni anno terra coltivabile, polverizza raccolti, muove migrazioni. E pone la Cina – un gigante da 1,3 miliardi di abitanti che da solo copre il 7% della terra coltivabile del pianeta – di fronte a un baratro che minaccia di frenare la sua strepitosa ascesa economica. Con implicazioni di natura geopolitica: l’acqua è una risorsa sempre più scarsa. E la corsa ad accaparrarsela può innescare crisi regionali senza precedenti. La siccità sta flagellando il nord della Cina. Alcune delle regioni del paese produttrici di grano -  Shandong, Henan, Hebei, Anhui, Shanxi, Jiangsu – stanno fronteggiando la peggiore emergenza idrica da sei decenni a questa parte, come dichiarato dal direttore dell’Ufficio per la prevenzione delle inondazioni e della lotta alla siccità Yang Zhendong. Una crisi che coinvolge 2,2 milioni di persone e 2,7 milioni di animali. Sono 4 i milioni di ettari di terreno “piagati”.

Neanche la capitale Pechino è risparmiata. Non piove da quasi quattro mesi. Un livello di siccità che non ha uguali negli ultimi 40 anni. Come ricorda il China Daily, la peggior siccità si verificò nell’inverno del 1970-71 quando non si registrò nessuna precipitazione per 114 giorni. Le autorità cinesi provano a correre ai ripari. Nei prossimi 10 anni, saranno spesi 4 trilioni di yuan (oltre 600 miliardi di dollari) in progetti per la salvaguardia delle risorse idriche, secondo quanto annunciato da Chen Xiwen, direttore della Commissione per i lavori agricoli del Partito Comunista cinese. Una sfida “ciclopica”, come si addice al gigante asiatico. Entro il 2020, saranno messi in atto sistemi per il controllo delle inondazioni e per far fronte ai periodi di siccità. Tra il 2011 e il 2015, inoltre, i fiumi di medie e grosse dimensioni saranno imbrigliati. L'obiettivo è quello di mantenere il consumo annuale di acqua al di sotto dei 670 miliardi di metri cubi nei prossimi cinque anni. Ma i proclami non nascondono le difficoltà di un’impresa di queste dimensioni. Secondo Liu Tuo, alto funzionario cinese, tutto quanto fatto fino a oggi “è assolutamente insufficiente” e ai ritmi attuali – 1,7 chilometri quadrati ogni 12 mesi -  ci “vorrebbero trecento anni per bonificare i terreni aggrediti dal deserto”.

Quello dell’agricoltura (e della siccità) è un nodo che rischia di strangolare l’intera Cina – e le sue ambizioni strategiche. Pochi dati servono a catturare la situazione. Secondo il rapporto “Food security and desertification” del China policy institute solo il 14% della superficie totale cinese è coltivabile. Ogni anno, secondo il rapporto, il 40% del territorio cinese è aggredito da fenomeni di erosione, perdita di pascoli, deforestazione e salinizzazione. La perdita di suolo annua è stimata attorno ai 5 miliardi di tonnellate. A ciò si aggiunge il problema della mancanza di acqua. Secondo uno studio dell’organizzazione The wordl water, la Cina “ha risorse idriche insufficienti. La disponibilità di acqua pro-capite l’anno è di appena 2.300 metri cubi, pari a un quarto della media mondiale”. E  le previsioni sono fosche: “entro il 2030 si avrà un’ulteriore riduzione a 1.700 metri cubi”. Alle debolezze strutturali – Pechino riceve l’85% della pioggia annuale durante la stagione monsonica estiva -, si aggiungono quelle legate al furioso sviluppo economico. Nel 2005 sono state riversati nei fiumi e nei laghi cinesi qualcosa come 52 miliardi di tonnellate di acque reflue. La corsa alle risorse idriche generare tensioni. Pericolose. Un caso esemplare è quello del fiume Mekong, che corre per 2,700 miglia dall’altopiano tibetano alla provincia cinese dello Yunnan, attraversando paesi come Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam. Secondo quanto riporta Foreign Policy, la Cina ha costruito tre dighe idroelettriche sul suo tratto del fiume (chiamato Lancang) e completerà una quarta diga nel 2012. I livelli delle acque del Mekong non sono stati mai così bassi e minacciano la sussistenza di 70 milioni di persone nei paesi a sud della Cina. Che protestano, accusando Pechino di “rubare” loro l’acqua.

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