Le frontiere della Cina

A leggere la stampa cinese, conclusa la visita di Hu Jintao negli Usa, alcune parole chiave saltano subito agli occhi. “Uguaglianza”, “rispetto reciproco”, “partnership”. E - soprattutto  - “era multipolare”. La Cina siede ormai al tavolo con gli Usa. E lo fa da pari a pari. Cinque anni fa Bush rifiutò la cena di stato al presidente cinese, quando il Dragone era la quinta economia mondiale. Hu – catapultata Pechino al secondo posto nella classifica delle potenze mondiali – ha ricevuto nei giorni scorsi i massimi onori. Gli Stati Uniti saranno pure la più grande potenza militare, capaci di scatenare una guerra in qualsiasi angolo del globo, ma orami la Cina ha nelle sue mani una serie di “assi”.

 Il Dragone è il secondo partner commerciale degli Usa (l’interscambio è pari a 385,3 miliardi nel 2010). Se l’America ha bisogno – disperato - di posti di lavoro, Pechino ha la borsa piena (anzi traboccante). Le riserve in valuta estera hanno raggiunto quota 2850 miliardi di dollari, registrando così una crescita del 18.7% rispetto ai livelli del 2009. Secondo quanto riportato dal Washington post nel 2008 le compagnie cinesi hanno investito negli Usa qualcosa come 5 miliardi di dollari. Briciole. Ma dal 2009 la quota è letteralmente esplosa a 12 miliardi. Un salto del 150 per cento. L’anno scorso gli investimenti esteri della Cina nel mondo sono cresciuti del 17% (a quota 105,74 miliardi di dollari). Ma al Dragone non basta. Troppi i vincoli e troppi i muri eretti da Washington. Il ministro del commercio cinese lo ha detto chiaro e tondo: è urgente che gli Stati Uniti aprano i loro mercati ai nostri investimenti.  E sul China Daily si legge che “meno del 10 per cento delle importazioni high-tech cinesi provengono dagli Stati Uniti". E che “se Washington allentasse i controlli sulle esportazioni di prodotti high-tech, Pechino acquisterebbe il know-how per la produttività, Washington plusvalenze per l'occupazione”. La Cina cerca nuove frontiere.

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