Cina, le mani sull'Africa

Dimenticata dalla diplomazia internazionale (leggi americana ma anche europea), preda di una conflittualità endemica, l’Africa è oggi la prova della capacità della Cina di muoversi sulla scena mondiale, penetrando gli spazi lasciati “vuoti”. Ma è anche diventata lo specchio dell’abilità, tutta cinese, di concepire una strategia a lungo termine. E perseguirla. Con tanto di dichiarazione di principio: la sovranità dei Paesi con i quali Pechino interagisce non si tocca (e come potrebbe essere altrimenti visto che Pechino non tollera alcuna intrusione per quanto riguarda le ribollenti regioni del Tibet e dello Xinjiang). E mezzi: un esercito di imprese. Il vorace Dragone ha bisogno – disperato – di ingoiare materie prime per saziare la sua fama energetica. Al tempo stesso apre sbocchi per le sue imprese e le sue merci. La domanda è inevitabile: quella che il continente africano sta subendo è un’occupazione, una vera e proprio nuova colonizzazione o al contrario si tratta di una possibilità – potente - di crescita?


A dicembre è uscito il primo libro bianco di Pechino sui rapporti commerciali tra la Cina e il continente africano. Che registra l’ennesimo poderoso salto in avanti: gli scambi sono schizzati a quota 114,8 miliardi di dollari (+ 43,5% rispetto all’anno precedente), sorpassando - come informa il China Daily - i livelli del 2008 (106.8 miliardi di dollari), prima cioè che la crisi globale azzannasse l’economie di mezzo mondo - ma non quella cinese. Un dato cattura l’impressionante progressione: in dieci anni il valore del commercio tra Cina e Africa è passato da quota 6 miliardi di dollari a quota 107 (dati del rapporto China’s growing role in African peace and security della Ong Saferwordl). Nel 1950, secondo il già citato libro bianco, erano fermi alla striminzita cifra di 12 milioni di dollari. La Cina è diventata così – nel 2009 - il primo partner commerciale dell’Africa, scavalcando Usa e Europa. Alla fine dello stesso anno, gli investimenti diretti in Africa targati Dragone hanno raggiunto quota 9,3 miliardi di dollari.

La Cina sbandiera i risultati raggiunti: 500 le infrastrutture costruite in Africa con “l’appoggio” cinese, 30mila i giovani africani formati a Pechino e dintorni, 5 i miliardi di dollari offerti tra il 2007 e il 2009 in prestiti preferenziali (e altri 10 miliardi arriveranno fra 2010 al 2012). “Pechino – ha scritto Giovanni Andornino in Oltre la Muraglia – offre un vero e proprio modello di sviluppo, privo (formalmente) di connotazioni coloniali o imperialiste, e rassicuranti in termini di stabilità delle leadership nazionali per via della propria enfasi sull’assoluta autonomia di ogni nazione nel determinare la propria organizzazione socio-politica domestica”.

Fin qua le luci, il contributo – innegabile – che la Cina ha dato alla crescita dell’economia africana. Ora le ombre. Cupe. L’Africa resta un continente dilaniato: come informa il report China’s growing role in African peace and security, tra il 1900 e il 2005 i conflitti sotto la pelle del Continente nero sono costati qualcosa come 300 miliardi di dollari. L’Africa, con il 14 per cento della popolazione mondiale, assomma la metà delle vittime da guerre dell’intero pianeta (1990-2005). Che ruolo ha la Cina in tutto questo, visto che il Dragone ha come principale interesse quello di “tutelare” i propri interessi mercantilistici – puntando sulla sopravvivenza dei governi spesso corrotti? Bifronte verrebbe da dire. Da una parte Pechino arma i conflitti. Vendendo armi. Secondo il Conventional Arms Transfers to Developing Nations, 2002-2009 tra il 2006 e il 2009 la Cina ha stipulato accordi per la vendita di armamenti ai paesi in via di sviluppo per 1.9 miliardi di dollari. All’anno. Dall’altro solo nel 2004 la Cina ha “inviato 1500 uomini nel quadro di missioni di pace in diversi paesi africani”. Il ragionamento di Pechino è semplice: la conflittualità mette a rischio gli investimenti (e  gli affari), la “pace” li fa lievitare. Cruda l’analisi di AsiaNews: “La Cina ama presentarsi come partner paritario (“cinquanta-cinquanta”, ripete sempre) e desideroso di aiutare gli altri Paesi in via di sviluppo. Ma crescono le accuse che Pechino voglia spogliare i Paesi poveri delle loro risorse, senza preoccuparsi se quanto paga porti vantaggio alla popolazione o solo a ristrette elite. Pechino offre prestiti agevolati, in cambio di minerali e materie prime. Ma molti dicono che ciò non aiuta i Paesi poveri, già molto indebitati e che sono così costretti a privarsi delle principali ricchezze”.


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